È illegittimo l’accertamento a carico della piccola s.r.l. basato solo sul fatto che l’amministratore versa molto contante ingiustificato sui suoi conti personali: le entrate e le uscite devono essere dimostrate con elementi più concreti in sede di accertamento. La Cassazione con la sentenza n. 26699, del 12 settembre 2022, ha accolto il ricorso di una s.r.l. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate.
Il contenzioso tributario
Una s.r.l. è stata destinataria di avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate con il quale l’Amministrazione finanziaria ha ripreso a tassazione per l’anno 2003 le maggiori imposte ritenute dovute oltre sanzioni ed interessi. L’accertamento, originato da una verifica presso la società, si era poi sviluppato attraverso indagini finanziarie, ritualmente autorizzate, su conti correnti bancari e postali della società ed anche del suo legale rappresentante, nonché socio, sebbene la stessa Amministrazione avesse dato atto che, in sede di contraddittorio, la società avesse prodotto documentazione, in particolare relativa al conto corrente acceso presso la banca ove risultavano regolarmente registrate tutte le operazioni transitate nella contabilità della società medesima. La società, nel lamentare in primo luogo che per effetto dell’adesione al concordato fiscale biennale ai sensi del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 33, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 novembre 2003, n. 326, doveva ritenersi precluso per le annualità 2003 e 2004 ogni accertamento di natura presuntiva, impugnò l’avviso di accertamento notificatole dinanzi alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Roma, che accolse il ricorso. Avverso la sentenza di primo grado ad esso sfavorevole l’Ufficio propose appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale (CTR) del Lazio, che, con sentenza del maggio 2012 accolse il gravame. Avverso detta pronuncia la società ha proposto ricorso cassazione.