Il “rosso” delle aziende si misura in un anno. Cambia la nozione di sofferenza economica con il nuovo codice della crisi d’impresa, entrato in vigore il 15 luglio dopo oltre due anni di rinvii, che sostituisce il fallimento con la liquidazione, introducendo una serie di strumenti di soluzione per salvare il salvabile. Il Cci distingue l’insolvenza vera dalla mera crisi, che è definita come «l’impossibilità di far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi», superando l’orizzonte temporale di sei mesi indicato dello stesso “Correttivo”, il decreto legislativo 147/20.
E si allinea invece al principio contabile Oic numero 11, secondo cui si ha continuità aziendale in un periodo di almeno un anno. È proprio il legislatore a specificare i segnali d’allarme della crisi: in primis la soglia dei debiti verso dipendenti e fornitori e il livello di esposizione verso le banche. L’early warning spetta ai sindaci, che devono rilevare nella società la sussistenza degli indici per chiedere la composizione negoziata: sta all’imprenditore rispondere entro trenta giorni, sapendo che l’organo di controllo può chiedere l’apertura della liquidazione giudiziale. È la Cassazione a fare il punto sulla novità normativa con la relazione 87/2022, pubblicata dall’ufficio del massimario sull’attuazione della direttiva Ue Insolvency.