In tema di credito di imposta ricerca e sviluppo, l’agenzia delle Entrate non è competente a valutare la valenza tecnica dell’attività svolta per migliorare i cicli produttivi dell’azienda. È questo il principio affermato dalla Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza con la sentenza 365/3/2021 (presidente Fiore, relatore Riondino; si veda l’articolo sul Sole 24 Ore del 4 agosto). A tali fini, secondo i giudici, l’Agenzia avrebbe dovuto richiedere un preventivo parere al ministero dello Sviluppo economico, come pure confermato dalle circolari 5/E/2016 e 13/E/2017
Nel corso del question time del 5 agosto, tuttavia, il ministero dell’Economia ha ricordato che «la richiesta del parere è espressamente prevista dalla norma come una facoltà, non un obbligo, per l’agenzia delle Entrate» (si veda l’articolo sul Sole 24 Ore del 6 agosto). La vicenda merita qualche considerazione in più, perché se è vero che l’Agenzia non è obbligata a rivolgersi al ministero dello Sviluppo economico, è altrettanto vero che un accertamento interamente basato su considerazioni puramente tecniche potrebbe rivelarsi zoppicante nel corso di un contenzioso. Nel caso esaminato dai giudici vicentini, la vicenda trae origine da un atto di recupero crediti emesso dall’agenzia delle Entrate di nei confronti di una società in fallimento, al fine di recuperare a tassazione il credito di imposta ricerca e sviluppo (articolo 3 del Dl 145/2013) dalla stessa fruito in relazione alle spese sostenute nell’anno 2017 per «innovazioni di processo». L’ufficio contesta che i progetti posti in essere dalla società non avrebbero apportato nessuna innovazione di mercato, limitandosi a migliorare il processo produttivo dell’impresa attraverso l’applicazione di tecniche già esistenti nel settore, rientranti nell’attività ordinaria di sviluppo dei processi aziendali.
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Bonus ricerca e sviluppo, accertamenti al bivio del parere dello Sviluppo economico _ NT+ Fisco